Torrefazioni ed emissioni odorigene: quando un profumo diventa fastidioso

Gli impianti di torrefazione producono esalazioni che, oltre a essere sgradevoli perché persistenti, possono risultare anche nocive. Pertanto, è necessario limitarle, utilizzando i mezzi appropriati e seguendo le norme apposite.

A chi piace, il caffè evoca emozioni già soltanto a livello olfattivo. Basta avvertirne il profumo nell’aria per essere invogliati a una piacevole sorsata, capace di donare gusto e brio. Ma se quell’odore fosse una costante? In tal caso, forse anche i più entusiasti inizierebbero a storcere il naso. Perché il troppo storpia, come insegna un noto proverbio, e può quindi trasformare in un fastidio ciò che in origine nasce come un piacere. È questo, in estrema sintesi, il problema cagionato dagli impianti di torrefazione, le cui esalazioni nell’atmosfera possono arrecare sensazioni sgradevoli a chi costantemente respira un’aria intrisa dai sentori della lavorazione del caffè.

 

Torrefazione ed emissioni odorigene

Quello di emissioni atmosferiche è però un concetto troppo vasto rispetto alla questione qui sollevata, che può essere più correttamente trattata rapportandola al concetto di esalazioni odorigene. Queste ultime rappresentano una novità nel panorama normativo italiano, essendo state inserite soltanto recentemente nel Testo Unico sull’ambiente (d.lgs. n. 152/06) che, all’art 268 lett. f, fa riferimento alle “emissioni convogliate o diffuse aventi effetti di natura odorigena”. In altre parole, nella definizione vengono fatti rientrare tutti quei fumi o gas che generano odori sgradevoli all’olfatto e talvolta risultano essere dannosi sia per l’ambiente che per la salute dell’uomo. Proprio come accade nel caso della torrefazione, fase di lavorazione fondamentale per attribuire al caffè il suo gusto inconfondibile. Nel corso di tale procedimento, oltre all’odore caratteristico dei chicchi tostati (che può essere sgradevole perché persistente), vengono prodotti alcuni fumi tossici (come la formaldeide, l’ossido e il biossido di azoto) che, rilasciati nell’atmosfera, recano danni sia all’ecosistema che alla salute umana.

Monitoraggio degli odori

Dunque, il potenziale impatto delle imprese di torrefazione può essere devastante. Occorre pertanto monitorarlo, così da evitare che l’attività produttiva si tramuti in una minaccia per la collettività. Minaccia che può essere sventata sottoponendo le emissioni odorigene a un’attenta analisi, secondo il metodo dell’olfattometria dinamica, disciplinato dalla norma europea EN 13725/03. Il sistema prevede la raccolta di un campione alla fonte, racchiuso in un apposito involucro e diluito con aria fresca. In seguito, collegato a un apposito dispositivo (l’olfattometro), il campione viene sottoposto all’analisi di un gruppo di esperti. Nel corso del test, la quantità di aria fresca presente nell’involucro viene gradualmente diminuita, finché uno degli analisti non avvertirà per primo l’odore. A quel punto, sarà possibile individuare la concentrazione dell’esalazione alla fonte e, di conseguenza, si potrà valutare il livello delle emissioni odorigene prodotte.

Le emissioni odorigene nell’ordinamento italiano

Se il legislatore europeo ha fornito un efficace metodo di analisi delle emissioni odorigene, quello italiano ha invece provveduto a chiarire gli aspetti generali della normativa. Nello specifico, il Testo Unico sull’ambiente (all’art. 272 bis) ha escluso l’esistenza di una disciplina univoca, valida sull’intero territorio nazionale. Anziché provvedere alla creazione di un’unica normativa, si è invece preferito attribuire la competenza in materia a ogni singola regione, a cui è dunque stato affidato il compito di regolamentare le esalazioni odorigene. Tuttavia, per evitare di creare un guazzabuglio di norme diverse da territorio a territorio, presso il Ministero dell’Ambiente è stato istituito un organo di coordinamento. Tracciando specifiche linee guida cui le regioni devono attenersi, tale ente è in grado di garantire quell’armonia normativa indispensabile per armonizzare un argomento dai risvolti molto delicati.

Torrefazioni campane, ecco la normativa

A oggi, tuttavia, non tutte le regioni hanno adottato un sistema che regoli le emissioni qui esaminate. Tra quelle ancora inottemperanti figura anche la Campania, che – prima o poi – dovrà dotarsi di una disciplina che ricalchi quanto stabilito dall’art. 272 bis, c.2, del Testo Unico sull’ambiente, e che quindi definisca:

  1. I valori limite di emissione, espressi in concentrazione (mg/Nm³) per le sostanze odorigene;
  2. Le prescrizioni impiantistiche e gestionali e i criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno, incluso l’obbligo di attuazione di piani di contenimento;
  3. Le procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento;
  4. Le portate massime o le concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m³ o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento.

Nell’attesa che il legislatore campano si adoperi in tal senso, il vuoto normativo è temporaneamente colmato da una sentenza del TAR datata 31 luglio 2023. In quella sede, i giudici amministrativi stabilirono che le esalazioni odorigene rientrano nel novero di quelle atmosferiche, e pertanto devono essere assoggettate a identica disciplina. In ragione di ciò, le torrefazioni operanti in Campania sono tenute a ottemperare alla normativa delle emissioni atmosferiche per far sì che gli odori  da esse prodotti non siano gravemente impattanti sul benessere dell’uomo e della natura.

Proposta di legge

La sentenza del TAR non è però l’unico intervento in tema di emissioni odorigene. Meritevole di considerazione è anche una proposta di legge – avanzata da alcuni consiglieri regionali della Campania – i punti salienti sono:

 

  1. La Valutazione dell’Impatto da Odori (VIO), presentata in sede di rilascio, rinnovo, riesame o aggiornamento dell’autorizzazione ambientale, deve indicare (fra i vari aspetti) le sorgenti di emissione, le sostanze emesse, nonché intensità, concentrazione e grado edonico delle esalazioni odorigene. Inoltre, essa deve specificare le metodologie utilizzate per l’abbattimento degli odori;
  2. I valori massimi di concentrazione delle emissioni odorigene, al cui riguardo si suggerisce di effettuare una differenziazione tra le esalazioni emesse dalle attività che producono emissioni e quelle più specificamente insalubri. Inoltre, viene individuato un insieme di misure da porre in essere nel caso in cui i suddetti limiti vengano superati;
  3. Un regime sanzionatorio, da attuare qualora le norme indicate nella proposta non vengano rispettate, che varia dalla sospensione dell’autorizzazione all’ammenda pecuniaria (per i casi più gravi).

Seppur non ancora entrata in vigore, la proposta di legge (qui illustrata in estrema sintesi) è fonte di ispirazione per l’ARPA, che a essa fa riferimento per effettuare le valutazioni di conformità delle emissioni odorigene.

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