La tripartizione delle acque reflue in “domestiche”, “industriali”, e “urbane”, pur rappresentando una specificazione fondamentale, non potrebbe essere considerata esaustiva se non si ampliasse, arrivando ad abbracciare anche la categoria delle acque reflue industriali assimilabili alle domestiche.
Le acque reflue assimilabili secondo il T.U.A.
Quando si menzionano queste specifiche acque reflue, si fa riferimento a una tipologia di scarichi che, pur essendo formalmente industriali, poiché riversati da strutture ove si svolge un’attività d’impresa, sono considerati equivalenti a quelli domestici, in ragione di puntuali disposizioni di legge che li distinguono per caratteristiche e capacità inquinanti. Il Testo Unico sull’Ambiente (d.lgs. n.152/06) all’art. 101, comma 7, contempla in nella categoria delle acque reflue industriali assimilabili alle domestiche quelle:
- provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo e/o alla silvicoltura;
- provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame;
- provenienti da imprese dedite alle attività di cui ai punti 1) e 2) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi esclusivamente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;
- provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 kg per metro quadrato di specchio d’acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo;
- aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;
- provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore.
Discorso a parte merita il trattamento delle acque reflue di piscine, autolavaggi e lavanderie.
La normativa della Regione Campania
Il punto 5 del succitato comma contempla, per ogni Regione, la possibilità di individuare ulteriori tipologie di acque reflue industriali assimilabili a quelle domestiche. Il legislatore nazionale ha voluto così consentire ai governi locali di ampliare il novero degli scarichi provenienti da attività d’impresa iscrivibili nella categoria in oggetto. Per quanto riguarda la Regione Campania, l’estensione dell’elenco è prevista dall’art. 3, lett. a) e b), del Regolamento n. 67 del 22 ottobre 2012.
Autorizzazione per lo scarico
Lo scarico delle acque reflue di tal tipo, che come abbiamo visto si distinguono da quelle formalmente industriali per essere meno impattanti sull’ecosistema, avviene tramite immissione nel sistema di pubblica fognatura. Tale immissione è subordinata all’ottenimento, in via preliminare, di un’autorizzazione, ossia un permesso di allacciamento alla rete fognaria, che viene rilasciato dall’ente gestore dell’impianto, nell’osservanza della vigente normativa nazionale e locale.
Esempio di autorizzazione
Per la città di Napoli, ad esempio, l’autorizzazione deve essere richiesta all’Abc (dal 1 marzo 2020), secondo costi e iter sintetizzati sul sito ufficiale. In particolare bisogna presentare i seguenti allegati:
- Allegato 1 – Richiesta di rilascio licenza di fognatura privata;
- Allegato 2 – Dichiarazione sostitutiva;
- Allegato 6 – Dichiarazione di regolarità contributiva;
- Allegato 3 – Specifiche allegati tecnici licenza civili abitazioni;
- Allegato 5 – Specifiche allegati licenza insediamenti produttivi;
- Allegato 4 (ove necessario) – Specifiche aggiuntive allegati licenza impianti sollevamento – reti sottoposte – pozzi;
- Allegato 7 – dichiarazione di pagamento.
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