Sostenibilità del comparto alimentare, una tutela per la salute delle acque e dei suoli

Sostenibilità del comparto alimentare, una tutela per la salute delle acque e dei suoli.

Terreni e falde acquifere possono essere messi a repentaglio dallo  indiscriminato di un’impresa alimentare. Sostenibilità è la parola d’ordine, per salvaguardare la natura e dar seguito al progetto imprenditoriale.

Tra gli imputati dell’inquinamento atmosferico figura anche l’industria alimentare. A sancirlo, uno studio compiuto dal CGIAR (Gruppo Consultivo per la Ricerca Internazionale sull’Agricoltura) da cui risulta che il comparto è responsabile del 30% delle emissioni globali di gas serra. Dunque, quest’attività imprenditoriale, a cui va riconosciuto il merito di portare sulle nostre tavole i nutrienti fondamentali per una dieta sana ed equilibrata, è la stessa capace di compromettere lo stato di salute sia dell’ecosistema che delle popolazioni. Mitigare tale effetto collaterale, salvaguardando al tempo stesso la capacità produttiva, appare un compito necessario per far sì che anche l’industria alimentare possa essere definita sostenibile. Obiettivo da raggiungere in tempi rapidi e in maniera razionale, tenendo ben a mente che la questione non può considerarsi circoscritta alle sole emissioni climalteranti.

Fitosanitari, una minaccia per i terreni

Per quanto pregiudizievoli, i gas serra rilasciati dalle imprese alimentari non sono infatti gli unici rischi per l’ambiente, minacciato anche da quei pericoli gravanti direttamente sui suoli e sulle falde acquifere. Esempio in tal senso sono sia i fitosanitari che i fertilizzanti. Ampiamente adoperati in agricoltura per difendere le colture da organismi nocivi (i primi) e per garantire l’apporto dei nutrienti (i secondi), essi garantiscono ottimi risultati produttivi. Il rovescio della medaglia sta però nell’impiego smodato di tali composti che, se utilizzati in percentuali eccessive, possono alterare lo stato di salute dei terreni. Con riferimento ai fitosanitari, il rischio si annida nella biodegradabilità dei principi attivi che li compongono. Essa dipende sia dalla composizione chimica del prodotto che da fattori ambientali, quali:

  1. L’irraggiamento solare;
  2. La temperatura atmosferica;
  3. La percentuale di precipitazioni piovose;
  4. Le caratteristiche del terreno;
  5. L’ecosistema del suolo.

Qualora la biodegradabilità risulta essere lenta o addirittura impossibile, a risentirne è lo stato di salute del terreno, alterato dalle sostanze nocive presenti nei fitosanitari. Allo stesso modo, possono venir inquinate le falde acquifere, qualora gli elementi chimici non decomposti – filtrando nel terreno – raggiungano le acque sotterranee, mettendone a repentaglio la potabilità.

Anche i fertilizzanti rappresentano un rischio

Al pari dei fitosanitari, anche i fertilizzanti possono rivelarsi nocivi per l’ambiente. Per comprendere più chiaramente la portata del rischio, si può far riferimento al rame. Questo elemento chimico è uno dei più utilizzati in agricoltura, poiché contribuisce allo sviluppo delle piante. Al tempo stesso, bisogna però ricordare che il rame è un metallo pesante, idoneo ad accumularsi nel terreno e da lì capace di cagionare seri danni. Innanzitutto, va detto che tale elemento chimico, allorché presente nel terreno in percentuali eccessive, cagiona la morte dei microrganismi presenti nel sottosuolo. Inoltre, alterando l’equilibrio chimico del terreno, ne compromette la fertilità, risultando dunque controproducente all’attività agricola. Infine, come per il caso dei fitosanitari, anche le falde acquifere possono essere esposte al rischio qui menzionato. Un utilizzo eccessivo di rame, infatti, ne comporta la percolazione attraverso il suolo, con possibili contaminazioni delle acque sotterranee.

Attenzione ai reflui

Fitosanitari e fertilizzanti non sono però gli unici spettri che aleggiano su acque e terreni. Opportuno è prestare attenzione anche ai reflui del comparto alimentare. Come in ogni altro settore produttivo, anche in quello qui considerato si rende necessario ottemperare agli obblighi previsti dalla legge in tema di trattamento delle acque reflue. Infatti, è soltanto obbedendo alla disciplina normativa che sarà possibile scongiurare gravi pericoli a danno di suoli e falde acquifere. Danni che possono essere apportati sia dai reflui derivanti dai processi produttivi  che dal lavaggio degli alimenti, fasi in cui le acque impiegate possono venire contaminate da tensioattivi, batteri, virus, oli e grassi. L’elenco degli inquinanti non è certo esaustivo, ma cionondimeno utile a comprendere quanto sia fondamentale gestire correttamente le acque reflue dell’industria alimentare che, se non trattate, possono nuocere ai terreni e alle falde acquifere, ma anche ai corsi d’acqua e ai mari.

Allarme deforestazione

Con riguardo specifico allo stato di salute dei suoli, non si può poi evitare di menzionare l’allarme deforestazione. Anch’esso è strettamente legato all’impresa alimentare, essendo sempre più richiesti spazi da destinare alle colture e ai pascoli, così da poter soddisfare le esigenze del mercato. Spazi che, molto spesso, vengono creati a scapito della vegetazione. Boschi e foreste (e con essi tutte le specie animali che vi risiedono) sono dunque eliminati per permettere lo sviluppo di piantagioni e l’allevamento di bestiame, con effetti collaterali noti a tutti. La deforestazione, oltre a ridurre il verde (e conseguentemente ad aumentare la percentuale di anidride carbonica presente nell’atmosfera) è anche causa della distruzione di interi ecosistemi. Ma non solo. Distruggere vaste aree verdi significa altresì aumentare il rischio da dissesto idrogeologico, le cui nefaste conseguenze sono sempre più frequentemente narrate dalle cronache nazionali.  

Costi sociali ed economici

Quanto finora detto ha ripercussioni evidenti, la cui gravità è facilmente comprensibile anche dai non addetti ai lavori. Tra rischio idrogeologico, inquinamento dei suoli e delle acque, l’impatto sociale è molto alto. Vittime illustri di un’impresa alimentare svolta in maniera indiscriminata potrebbero pertanto essere sia le specie animali che vegetali, quanto la natura e l’uomo, considerato tanto come singolo che come collettività. A ciò, si aggiunga la quantificazione economica di simili danni. All’aumento della spesa sanitaria, dovuta all’innalzamento di disturbi derivanti dall’ingestione di cibi contaminati, va aggiunta l’incidenza sulla spesa pubblica delle operazioni di bonifica delle falde acquifere, di riforestazione, di salvaguardia del patrimonio faunistico e floristico.

La soluzione è fare a meno dell’industria alimentare? Certo che no. Occorre però che il comparto abbracci a pieno il concetto di sostenibilità, così da armonizzare le esigenze nutrizionali delle popolazioni umane con quelle di vita dell’intero ecosistema.

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