Quanto inquina l’industria alimentare?

Gas serra, plastica, emissioni odorigene. Anche nell’industria alimentare l’inquinamento, non soltanto atmosferico, è un problema di cui tener conto.

Per quanto possa essere green, ogni impresa lascia la sua carbon footprint. C’è poco da fare, è l’effetto collaterale di qualsiasi attività produttiva. Tuttavia, non tutte le industrie inquinano allo stesso modo. Solitamente, si pensa che i grandi produttori di energia, i colossi petroliferi e quelli del trasporto aereo siano i più temibili nemici dell’ambiente, ma in realtà la lista è molto più lunga e comprende anche settori produttivi apparentemente insospettabili. Come il comparto alimentare che, lungo tutto la sua filiera, impatta notevolmente sull’ambiente.

Il problema della CO₂

Produrre cibo per animali ed esseri umani è una necessità, che però presenta un costo in termini di emissioni climalteranti. Stando a numerosi studi scientifici, il settore alimentare è uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento atmosferico, al cui aggravamento contribuisce con il rilascio in dosi massicce di gas serra. Rilascio che, per giunta, non è circoscritto a un momento specifico, ma si snoda lungo tutto il tragitto che dai campi arriva fino alla tavola dei consumatori. Caso emblematico è quello della produzione di anidride carbonica, una costante nella produzione, distribuzione e consumo di beni alimentari. Operazioni che vanno dalla coltura della terra e dall’allevamento di bestiame, fino al trasporto delle merci, allo stoccaggio e al consumo delle stesse. Momenti diversi, ma tutti accomunati dalle considerevoli emissioni di CO₂, che si traducono in una notevole alterazione dell’equilibrio atmosferico.

Il metano nell’industria alimentare

Il problema non è però rappresentato soltanto dall’anidride carbonica. Connesso all’industria alimentare è anche l’eccessivo incremento dei livelli di un altro gas serra, il metano. Generato dalla produzione di mangimi per animali, dai processi digestivi del bestiame, e dalla deforestazione necessaria a creare spazi per gli allevamenti, il metano rappresenta un nemico pericoloso dell’ambiente. Numerosi studi, infatti, attribuiscono a questo gas parte della responsabilità del riscaldamento globale, fenomeno alla base dei mutamenti climatici che tanto minacciano il presente e il futuro del nostro pianeta. Insomma, gustare una succulenta bistecca o assaporare un gustoso pezzo di formaggio è una legittima quanto deliziosa soddisfazione per alcuni palati, ma questo non può far dimenticare che, dietro quei processi di produzione, c’è un rilascio di metano altamente impattante in termini ambientali.

Ammoniaca, un rischio non solo per l’atmosfera

Il rischio ambientale non è tuttavia circoscritto ai soli gas serra. Nel comparto alimentare, allarmante è anche la produzione di ammoniaca, derivante dalla gestione delle deiezioni nei ricoveri del bestiame, negli stoccaggi e nelle fasi di spandimento. Il pericolo è connesso al fatto che l’ammoniaca così prodotta rilascia polveri sottili che, disperse nell’atmosfera, costituiscono una minaccia per la salute umana e ambientale. Salute che può essere pregiudicata anche mediante alterazioni del suolo e del sottosuolo, dovute all’ammoniaca presente nei fertilizzanti e nei fitosanitari che – se utilizzati in eccesso – una volta assorbiti dal terreno, possono rappresentare un pericolo sia per le coltivazioni che per le falde acquifere. 

La plastica, eterno nemico dell’ambiente

Da non sottovalutare neppure il potenziale inquinante del packaging, ormai parte integrante dei prodotti alimentari che arrivano sulle nostre tavole. Molto spesso realizzato con l’utilizzo di plastica, l’imballaggio può rappresentare una minaccia già in fase di fabbricazione, a causa delle massicce quantità di anidride carbonica necessarie al completamento dei processi produttivi. A ciò, va aggiunto il rischio ambientale costituito dall’abbandono indiscriminato di materiali sintetici. Dire no alla raccolta differenziata, preferendo a essa un comportamento poco ecofriendly, è una scelta decisamente controproducente. Gettare gli imballaggi senza alcuna cura, significa infatti arrecare un danno ai terreni e alle acque (siano esse dolci o salate) che, presto o tardi, si ripercuote anche contro gli stessi autori di quel gesto incivile.

Odori nel comparto alimentare

Le emissioni atmosferiche non costituiscono però l’unico effetto collaterale dell’industria alimentare. A essa sono attribuibili anche le esalazioni odorigene, che sono il prodotto di alcune fasi di lavorazione specifiche del comparto alimentare, quali:

  • La manipolazione degli ingredienti:
  • La cottura degli alimenti;
  • La lavorazione e lo stoccaggio delle materie prime;
  • La produzione di aromi a uso alimentare;
  • L’estrazione e la raffinazione di oli alimentari derivanti da semi o frutti.

Seppur non incidenti sul benessere dell’ambiente, le emissioni odorigene possono risultare sgradevoli o, nei peggiori dei casi, cagionare problemi di salute. Dunque, pur non avendo una responsabilità diretta in tema di inquinamento ambientale, gli odori fastidiosi sono equiparabili alle emissioni atmosferiche, pertanto meritevoli della stessa attenzione adoperata nel tentativo di rendere più sostenibile l’industria alimentare.

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