Reflui dell’industria alimentare, ecco come gestirli correttamente

Il comparto alimentare produce scarti idrici ricchi di sostanze organiche inquinanti. Scaricarli correttamente è fondamentale per il benessere ambientale.

Nel lungo elenco delle acque reflue industriali, rientrano a pieno titolo anche quelle prodotte dal comparto alimentare. Lo si può intuire facilmente già soltanto leggendo la definizione dei reflui prodotti dalle imprese, che il Testo Unico sull’ambiente (d.lgs. n. 152/06), definisce come quelli “provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento”. È dunque questa  la precisa collocazione normativa dei reflui del settore alimentare, i quali però – come si potrà notare a breve – presentano caratteristiche proprie, che le rendono (almeno in parte) diverse rispetto alle acque prodotte da altri settori produttivi.

 

Caratteristiche dei reflui del settore alimentare

La differenza più evidente sta nel fatto che gli scarti idrici del settore alimentare non provengono soltanto dai processi produttivi e (più in generale) da tutta l’acqua utilizzata negli spazi aziendali,  ma anche dal lavaggio degli alimenti. Ciò determina il carattere specifico di questi reflui, composti sia da sostanze comuni a tutti i comparti produttivi (esempio: tensioattivi, minerali, metalli), sia da elementi specifici delle lavorazioni alimentari, quali:

 

  • Proteine;
  • Oli;
  • Grassi;
  • Carboidrati;
  • Sali minerali;
  • Batteri e virus.

 

Questa peculiarità non modifica però i riferimenti normativi, che restano quelli stabiliti dal legislatore per la gestione degli scarti idrici industriali in generale.

Autorizzazione agli scarichi

Prima di analizzare la disciplina, è opportuno specificare che, anche in riferimento al comparto alimentare, nella definizione di acque reflue rientrano sia quelle di processo (derivanti dagli impianti produttivi) che quelle di servizio (impiegate per scopi diversi). Detto questo, va poi sottolineato che il Testo Unico sull’ambiente stabilisce – a carico del titolare d’impresa – l’obbligo di dotarsi di un’apposita autorizzazione, indispensabile per essere legittimati a far fluire gli scarichi idrici in un determinato corpo ricettore. Tale documento è rilasciato dall’autorità competente, che – a seconda dei casi – può essere rappresentata da:

 

  1. Regione o Ente di bacino, per le immissioni in acque superficiali;
  2. Provincia o Città Metropolitana, per gli scarichi nella rete fognaria;
  3. Comune, per le acque destinate al suolo o al sottosuolo.

 

Ricevuta la richiesta, l’autorità competente svolge un controllo finalizzato a verificare la conformità ai limiti e alle condizioni fissate dalla normativa. Se questi ultimi vengono rispettati, l’ente provvede poi al rilascio dell’autorizzazione.

Disciplina vigente in Campania

Di fianco a tale disciplina, avente portata nazionale, si affiancano quelle stilate da ogni singola regione. Per quel che riguarda la Campania, il quadro normativo di riferimento è composto da due regolamenti. Il primo (n. 6 del 2013) disciplina le acque reflue assimilate alle domestiche, ossia  quegli scarichi che, pur essendo formalmente industriali (poiché prodotti da strutture in cui è svolta un’attività produttiva), sono equiparabili a quelli domestici, stante la loro tenue portata inquinante. Per tale tipologia di reflui, il regolamento in esame non richiede alcuna autorizzazione allo scarico. Diversamente per quanto previsto in relazione alle acque reflue scaricate in fognatura (siano esse domestiche o industriali) – disciplinate dal regolamento regionale n. 11 del 2012 – consentite previo ottenimento dell’apposita autorizzazione da parte dell’EIC (Ente Idrico Campano).

Trattamento dei reflui alimentari, quale scegliere?

Esaminato l’aspetto normativo, non resta che scoprire come poter effettuare concretamente lo scarico. Scarico che, per poter essere eseguito, deve essere preceduto da una fase di trattamento dei reflui. Attraverso questo procedimento, le acque utilizzate nei processi produttivi vengono sottoposte a depurazione, così da venir private di tutte quelle sostanze inquinanti in esse presenti. Molteplici sono le soluzioni tecniche volte a garantire la depurazione degli scarti idrici. Tuttavia, va precisato che la scelta tra un trattamento e l’altro non può essere effettuata in base alla discrezionalità dell’imprenditore, bensì tenendo conto degli elementi nocivi presenti nei reflui. In tal senso, per quel che riguarda le acque reflue del settore alimentare, il trattamento maggiormente indicato potrebbe essere quello biologico, il più efficace ad assicurare l’abbassamento dei livelli della carica organica presente nell’acqua.

Importanza del pretrattamento

Il processo biologico, di per sé molto valido, si dimostra ancor più efficace se effettuato dopo un pretrattamento. Quest’ultimo risulta fondamentale per privare l’acqua delle particelle più grossolane di oli e grassi, così da rendere maggiormente incisiva l’azione trattante biologica. In particolare, la fase di pretrattamento può offrire risultati apprezzabili se effettuata mediante flottazione ad aria disciolta. Attraverso questo sistema, la chiarificazione delle acque è assicurata dalla separazione delle sostanze organiche sospese, effettuata grazie a un flusso di microbolle di aria. che imprigionano i solidi sospesi e li portano in superficie, dove possono essere facilmente rimossi.

A dimostrazione della sua efficacia, va detto che il pretrattamento mediante flottazione ad aria disciolta è molto utilizzato nell’industria alimentare, specie nella macellazione carni e nell’industria casearia. Comparti in cui è molto alta la percentuale di sostanze organiche nei reflui industriali che, se sottoposti a tale procedimento, risultano essere meno impattanti in termini ambientali.

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