Emissioni odorigene: definizione e quadro normativo

L’ecosostenibilità richiede attenzione a ogni forma di impatto sull’uomo e sull’ambiente. Nulla può essere tralasciato, neppure le emissioni odorigene.

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Talvolta il concetto di “impresa green” evolve così in fretta che la legge non riesce a tenere il passo, creando così un vuoto normativo capace di ingolfare il meccanismo produttivo. Testimonianza sono le emissioni odorigene che – come si vedrà in seguito – sono ancora oggi disciplinate a macchia di leopardo sul territorio italiano. Eppure, costituiscono una seria minaccia, che di certo non può essere sottovalutata o addirittura tralasciata. Anzi, anche per esse, come per tutte le altre forme di inquinamento ambientale, si rende doveroso stilare un piano normativo volto a limitarne l’impatto, in un’ottica di armonia tra produttività e tutela dell’ambiente finalizzata ad attribuire un significato concreto al termine “sostenibilità”.

Definizione ed effetti delle emissioni odorigene

Ed è proprio puntando alla sostenibilità che, negli anni, un sempre crescente numero di emissioni è stato disciplinato dal legislatore, dedicatosi in tempi recenti anche a quelle odorigene. Dimostrazione di quanto appena detto è fornita dal Testo Unico sull’ambiente (d.lgs. n.152/06), che si è arricchito della normativa riguardante le esalazioni odorigene, definite dall’art. 268 lettera f bis come “emissioni convogliate o diffuse aventi effetti di natura odorigena”. Prodotte dalle attività industriali e agricole, queste esalazioni sono composte da vari elementi chimici volatili in grado di nuocere sia all’ambiente che all’uomo. Basti pensare, per esempio, a sostanze come l’acido solfidrico (frequentemente utilizzato come disinfestante in agricoltura o come reagente chimico nelle cartiere), causa di irritazione agli occhi, di edema polmonare e – a concentrazioni elevate – di distruzione delle cellule olfattive, o anche al solfuro di carbonio (spesso impiegato come solvente) che – laddove rilasciato nell’ambiente in alte percentuali – può addirittura causare la morte di chi vi è esposto.

Come si misurano?

Seppure siano soltanto due, gli esempi appena citati permettono di comprendere quanto sia pericolosa la minaccia rappresentata dalle emissioni odorigene. Pertanto se ne rende necessario il monitoraggio, da effettuare seguendo regole ben definite. Queste ultime sono state stabilite a livello internazionale con il metodo dell’olfattometria dinamica. Si tratta di un sistema che richiede l’impiego di esperti ai quali viene affidato il compito di verificare – tramite campionamento – la concentrazione di odore alla sorgente. Così facendo, sarà possibile individuare la soglia di rivelazione dell’odore del campione analizzato, stabilita in base al numero di diluizioni necessarie per far sì che l’odore non venga più percepito da almeno il 50% degli esaminatori.

Il quadro normativo

Come già accennato in precedenza, le emissioni odorigene sono state recentemente regolamentate anche dal legislatore italiano. Nello specifico, esse sono state prese in considerazione dal Testo Unico sull’ambiente. Più precisamente, dall’art. 272 bis, ove si afferma che esse non sono oggetto di un’unica normativa nazionale, bensì devono essere regolamentate da ogni regione, a cui è quindi affidato il compito di legiferare in materia di prevenzione e limitazione. In assenza di tale disciplina, è prevista la possibilità di far riferimento a quanto prescritto dall’autorizzazione alle emissioni atmosferiche, rilasciate dall’ente territoriale preposto e necessarie per lo svolgimento di determinate attività imprenditoriali.

Coordinamento delle varie discipline

Interessante è anche quanto prescritto dal secondo comma dell’art. 272 bis. Al fine di evitare che ogni regione faccia riferimento a un proprio schema normativo, ipoteticamente anche del tutto dissimile da quello presente in altri territori, è previsto l’intervento di un apposito organo di coordinamento. Istituito presso il Ministero dell’Ambiente, questo ente ha la funzione di armonizzare la disciplina, rendendola quanto più omogenea possibile. Obiettivo raggiungibile grazie all’elaborazione di una serie di linee guida, che tracciano il percorso a cui le regioni devono attenersi nell’attuazione dei piani normativi di prevenzione e limitazione delle emissioni odorigene.

L’intervento del Ministero dell’Ambiente

Di recente, la normativa è stata arricchita dal decreto direttoriale n.309/23, con cui il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha dettato gli indirizzi cui attenersi in materia di limiti alle emissioni odorigene. Lo stesso decreto specifica che l’applicazione di tali indirizzi può avvenire in via diretta o indiretta. La prima ipotesi è relativa alle imprese che, per poter svolgere la propria attività produttiva, necessitano dell’autorizzazione unica ambientale; nell’applicazione indiretta, invece, gli indirizzi operano come criteri guida di riferimento nell’iter di concessione dell’autorizzazione integrata ambientale.

L’intervento del Ministero non comporta però la delegittimazione della legge regionale, la cui importanza è ribadita dallo stesso decreto. Esso, infatti, specifica che le vigenti leggi regionali  – quando capaci di offrire una tutela equiparabile – restano pienamente valide.

Regioni dotate di normativa

Dunque, il decreto del Ministero ribadisce che gli enti regionali sono titolari del potere di legiferare in materia. Eppure, ad oggi, non tutti i territori sono dotati di un’apposita disciplina. Anzi, l’elenco risulta essere alquanto esiguo, poiché costituito soltanto da:

  • Lombardia;
  • Piemonte;
  • Emilia Romagna;
  • Abruzzo;
  • Puglia;
  • Basilicata;
  • Sicilia.

Alla lista devono poi aggiungersi le normative stilate dalla Giunta Provinciale di Trento e quelle frutto del lavoro degli enti territoriali preposti al rilascio delle autorizzazioni; nello specifico, l’ARPA del Friuli Venezia Giulia e della Toscana.

Insomma, nonostante le emissioni odorigene costituiscano un alto rischio, ancora oggi risultano essere pochi i territori regionali dotati delle opportune misure normative di contrasto.

La situazione in Campania

Tra le regioni sprovviste di un’apposita disciplina figura anche la Campania. Qui, il vuoto normativo è stato almeno momentaneamente colmato da una pronuncia del TAR del 31 luglio 2023, con cui si è ribadito che le esalazioni odorigene debbano essere ricomprese nel più ampio concetto di emissioni atmosferiche, pertanto sottoposte alla medesima disciplina.

Nell’attesa che i tempi per una normativa apposita siano maturi, è bene specificare che la regolamentazione dovrà tener conto dei parametri fissati dal secondo comma dell’art. 272 bis del Testo Unico sull’ambiente, e pertanto definire:

  1. I valori limite di emissione, espressi in concentrazione (mg/Nm³) per le sostanze odorigene;
  2. Le prescrizioni impiantistiche e gestionali e i criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno, incluso l’obbligo di attuazione di piani di contenimento;
  3. Le procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento;
  4. Le portate massime o le concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m³ o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento.

Qualora emanata, una legge così strutturata permetterebbe alla Regione di dotarsi di uno strumento normativo da frapporre tra le emissioni e le loro ripercussioni negative sull’ambiente e sull’uomo, contribuendo in tal modo allo sviluppo delle imprese e al benessere dei cittadini campani esposti alle esalazioni odorigene.

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